Le nostre amiche badanti

Domenica 2 dicembre si è tenuto l’incontro pubblico “La piazza delle badanti” organizzato dall’Associazione MondoQui. Ecco una carrellata di foto scattate da Jaspreet Sing e di seguito un articolo dedicato all’iniziativa, comparso sull’Unione Monregalese.

Come vivono le badanti
Domenica scorsa all’incontro organizzato da MondoQui
(c.b.) – Nei progetti di vita che facevano da giovani, non c’era quello di fare la badante. C’era una vita normale, insieme alla famiglia, magari con un lavoro non troppo lontano da casa. Poi il crollo del comunismo e di quell’economia, la perdita del lavoro e di ogni possibilità di trovarlo. Mariti disoccupati, figli da mantenere, lo spettro della miseria più nera. Per tantissime donne ucraine, moldave, rumene, dal 1991 in poi non c’è stata scelta: hanno lasciato le loro case per entrare nelle nostre, a prendersi cura degli anziani, in tutta l’Europa occidentale, ma soprattutto dove il welfare è meno efficiente e le famiglie devono far da sè: in Italia. L’Associazione MondoQui ha fatto amicizia con alcune di loro: quelle che si ritrovano la domenica a pranzare nelle aule del catechismo della parrocchia dell’Altipiano. E domenica scorsa insieme a loro ha organizzato un incontro pubblico, perché le loro storie non restino nascoste tra le mura delle case. È intervenuto il prof. Francesco Vietti, antropologo, che sulla vita delle badanti ha incentrato i suoi studi, iniziando dalla tesi di laurea diventata un libro e dalla badante moldava dei suoi nonni, a Torino. Sono intervenute anche alcune di loro e, dalla relazione del professore e dalle conferme delle assistenti domestiche fatte con le lacrime agli occhi, sono emerse le loro vicende: storie di figli lasciati da piccoli con il papà o i nonni e rivisti solo durante le ferie e sentiti al telefono la domenica a pranzo; ragazzi che ora sono adolescenti o adulti e già genitori, e di quella mamma lontana hanno solo l’idea vaga di una che li ha mantenuti, ma forse anche un po’ abbandonati; storie di genitori anziani di cui non si sono potute prendere cura e dei quali non sono potute andare al funerale; storie di famiglie che si sfaldano; storie anche di ritorni, soprattutto per le rumene dopo che la situazione economica è migliorata; e storie di famiglie italiane, con cui i rapporti sono di stima e riconoscenza reciproca, e a volte quasi d’amore filiale verso quegli anziani ai quali riversano le cure che non hanno potuto dare ai propri cari.

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